Pesaro Wine Festival 2019 - Piano pianissimo, forte fortissimo

E' stata un grande successo questa 4^ edizione del Pesaro Wine Festival: circa 1000 visitatori dicono, sold out i tre interessanti seminari che componevano l'offerta formativa ben allineata allo spirito dell'evento, molto frequentato anche il banco d’assaggio dedicato al cinquantesimo anniversario della DOC Bianchello del Metauro, allestito dall’AIS Marche Urbino Montefeltro. Il Pesaro Wine Festival è cresciuto, eccome se è cresciuto rispetto a quella prima edizione un po' arrangiata, ma promettente. Appuntamento all'anno prossimo, ancora più forte, fortissimo! (cit.)
Ma qui bisogna guardare anche vicino, al domani. Ebbene, anche il Pesaro Wine Festival è andato, e adesso che facciamo noi marchigiani? Ci attacchiamo. Pesce d'aprile. Ma no, teniamo duro e continuiamo a cercare luoghi da bere, vicini e lontani. E se qualche coraggioso è già in viaggio verso il Settentrione alla ricerca di quel gran carrozzone vinoso sistemato ora lì ora di là, enorme e raffinato, forse anche un po' patrizio per noi post-mezzadri (dpm docet), l'Indigeno opterà invece per la soluzione più proletaria. Eh sì, intanto perché low-cost, che la vardascia è passata alle minacce, che proprio non le va giù che io abbia jeans sformati e scarpe bucate, con tutto il budget che se ne va in vino. E poi, giacché la vita va a fasi alterne e questo è periodo di cautela e ritegno, me ne starò tranquillo a casa nel tepore della mia confort zone, nelle mie Marche, che con la primavera diventano un canto di sirene. Inoltre il grande merito di un festival enoico, o meglio il suo compimento, per quanto mi riguarda, è quello di invogliare l'avventore a fare il Grande Passo: il viaggio nel territorio, la visita in cantina, una scelta di vita che tende all'approfondimento, che acuisce i sensi, l'intelletto, lo spirito. Parole e musica dell'Indigeno Marchigiano. E ‘sti cazzi? Non ce li metti? Fatto sta che il contatto con diversi vignaioli ed i loro vini tra primi incontri e riscoperte è stato davvero stuzzicante: le Marche pullulano di nuove leve con idee interessanti ed innovative, anche trasversali rispetto a visioni radicali che hanno tracciato un solco in questi ultimi anni. Beh, il Pesaro Wine Festival ha funzionato alla perfezione: l'Indigeno ha una gran voglia di approfondire, di andarle a vedere con i propri occhi queste realtà, da vicino, proprio lì dove nascono e prosperano. E chissenefrega della megafiera galattica veneta!

GLI ASSAGGI

Di seguito qualche assaggio incisivo, qualcuno memorabile, qualcun altro semplicemente bello, selezionati nel mezzo di una qualità media decisamente elevata.
Per ultimo, come al solito, il primo, ovvero il mio preferito.

CASA CATERINA: FRANCIACORTA NON FRANCIACORTA

Partiamo col botto: la celeberrima Casa Caterina dei fratelli Del Bono, Monticelli Brusati, in Franciacorta. Niente DOCG tanto per cominciare. Ma per capire di che pasta sono fatti basta fare due chiacchiere con Emilio, vignaiolo verace, pirata. Con i suoi racconti ed il calice in mano posso quasi dire di essere stato nel mondo Casa Caterina. Bollicine importanti, particolari, eleganti e di grande complessità. Lunghissimi affinamenti sui lieviti, tempo al tempo, rispetto della natura, del vino, del lavoro. Scelgo due vini: il Cuvée 36 Nature Rosé Brut, il primo assaggio e forse il più semplice, agrumato e dalla spiccata mineralità, che adoro per la presenza del Pinot Meunier in aggiunta al Pinot Noir, roba che in Italia si sente di rado, questione di concetto; e poi l'Unico08, da un'uva autoctona del bresciano ormai quasi dimenticata, vale a dire l'Invernenga. Leggera macerazione e affinamento di 3 anni in cemento, naso delicato e suadente al palato, stupefacente! Piccoli capolavori, grandi vini, puliti e longevi: qui siamo di fronte a veri geni del vino naturale.



LE MARCHE SOPRA IL CESANO: I ROSSI


All'estremo confine Nord delle Marche, sulle fredde alture di Macerata Feltria, c'è un fazzoletto di terra ricco di arenaria caratterizzato da un microclima tutto suo, dove l'azienda Valturio di Adriano Galli e  Isabella Santarelli ha avuto la brillante idea di coltivare il Pinot Nero. Scommessa azzeccata considerati i risultati: il Pinot Nero '16 è centrato e varietale, molto giovane ma dal futuro radioso. Profumi di piccoli frutti rossi e spezie piccanti, grande struttura ma sorso tutt'altro che greve, ma anzi vivace, tonico. 

Più a Sud, tra le colline di Pesaro, sorge invece l'azienda Selvagrossa dei fratelli Taddei, riconoscibile tra i banchi di assaggio per le sue bellissime etichette illustrate. Che bomba il Poveriano! Cabernet Frank in purezza, annata 2013, bacche nere stramature, pepe e rimandi erbacei da manuale, struttura poderosa e tannini soffici e raffinati. Un grande Frank marchigiano! 
Si sono assaggiati dei bellissimi Sangiovese provenienti da queste zone, eppure sono stati i vitigni internazionali a regalare delle grandi espressioni di sé, caratteristiche e territoriali. 



LE MARCHE SOPRA IL CESANO: I BIANCHI

Qui regna incontrastato il Bianchello (con quella pronuncia costiera irriproducibile per noi marchigiani della bassa), non tanto un vino ma un vero e proprio state of mind.
Beh, avevo un conto in sospeso con i vini di Cignano: ricordi risalenti a due edizioni fa, con il grande Fabio Bucchini, vero cultore del Bianchello, che tentava di spiegare le radici di questo vino, e dei suoi in particolare, ad un ancora acerbo Indigeno tutto storto e decisamente sbronzo. Non mi rimase molto della sua accorata spiegazione, ma l'espressione di sacrosanto biasimo sì, come anche il rimorso del giorno dopo. Dopo due anni di ricerca finalmente un nuovo contatto con un suo vino: San Leone '17 Bianchello del Metauro DOC Superiore, paglierino brillante dai riflessi versi, profumi floreali e sentori agrumati, consistente sì, ma di grande freschezza, fine ed equilibrato. Il Bianchello ha il grande pregio di essere espressione pura delle sue genti. Promemoria: devo assolutamente andare in cantina e stringere la mano a Fabio. Salva.

Il Conventino di Monteciccardo, altra realtà di grande valore già apprezzata lo scorso anno, mi sorprende con un bel tridente tutto fantasia a base di Famoso: Il Famoso nel Convento '17, la versione classica; il Metodo Classico Extra Brut '15; il Fausto, della nuova linea "I Marcantoni", naturale, macerato, non filtrato. Tre versioni legate da un unico filo conduttore fatto di un panorama olfattivo intenso ed ampio, con pompelmo ed erbe aromatiche in prima linea, bella freschezza e succulenta sapidità.



L'ETERNO INCOMPRESO: IL ROSSO CONERO


Sempre tutti a parlar male del Rosso Conero oh… Leggo continuamente commenti di scarso apprezzamento per la tipologia, dovuti immagino a pregiudizi un po' radicati. "Sai, non ci vado matto..". WTF! Ha frutto, mare, potenza, struttura, freschezza, invecchia da Dio.
Prendiamo il Terra Calcinara '16 di La Calcinara, Conero Riserva, nuovo di zecca, intenso e balsamico, beva già fluida per nulla scontata, regalerà grandi emozioni nel tempo.

Oppure il Campofiorito di Fattoria Lucesole, il loro Conero d'entrée: naso serioso ma in bocca risulta giovane e dinamico, piacere assicurato. 
Che cosa abbiamo da ridire su 'sti vini? Vogliamo parlare dei prezzi? Meglio di no. Sarà del sano campanilismo, sarà che ho la coda di paglia. Grido al complotto!

Nota: vorrei porre alla vostra attenzione la terza bottiglia, un Conero campione di Anfora, l'ultima fatica di Orciani feat Lucesole. Non perdiamolo di vista.



I COLORI DELLE MARCHE


Rosa. No! Buccia di cipolla. Il Mun di La Calcinara è un rosato da Montepulciano estroso ed anticonformista, proprio come i suoi autori, i meravigliosi fratelli Eleonora e Paolo Berluti. Cangiante di vendemmia in vendemmia, questo 2018 si presenta in una veste più preziosa che mai, cristallina e luminosa. Nonostante tutta questa bellezza, bottiglia scura per questo rosato che non teme il tempo: niente scollatura, va corteggiato.

Marrone. No! Occhio di gallo. Chiamatelo come volete, il Vino cotto stravecchio occhio di gallo di Loro Piceno di David Tiberi, tanto non esiste denominazione, neanche fosse un'eccellenza marchigiana… Vabbè. Trebbiano, Verdicchio, Montepulciano, Sangiovese, tutti insieme. Loro, lu vì cottu, lo imbottigliano per annata: 2006 con una vena di acidità che lo rende incredibilmente bevibile, 2003 profondissimo. Che complessità! Poco da invidiare ad un ottimo Marsala, una perla.

Orange. No! Ambrato. Nuova annata, 2015, per il Chiaroro di Cameli Irene, macerato marchigiano di Pecorino e Trebbiano. Ancora giovane ed austero, ha una grande dote: ha carattere, ma non è mai eccessivo; questo si traduce in un vino che può offrire spunti interessanti in fase di abbinamento, corposo ed avvolgente com'è.



LE NUOVE LEVE DEL VERDICCHIO JESINO


Ohhh finalmente qualche faccia sconosciuta! Persino le etichette, particolari ed artistiche, dipingono la ventata di aria fresca portata da nostri nuovi eroi.

Da una parte i ragazzi di Oppeddentro, azienda giovanissima (2017) con sede a Maiolati Spontini (AN) e vigneti a Cupramontana, a 450 m s.l.m.. Simpaticissimi, schietti, esuberanti e leggeri, pieni d'entusiasmo. Per ora producono due bottiglie: il bianco Valdè da Verdicchio e Trebbiano ed il rosso Grana D'Elia, da Sangiovese e Montepulciano. Come sono i vini? Non ve lo dico, che poi magari vi fidate e non andate a trovarli di persona, perdendovi un'esperienza. Anche perché pare che la storica cantina all'interno del borgo medievale sia un gioiello da vedere.

Dall'altra finalmente Colleonorato, giovane cantina sulla bocca di tutti le cui bottiglie in foto imperversano sui miei social. Pare che solo l'Indigeno non li avesse ancora bevuti, quindi ho rimediato. Cantina alle porte di Jesi, vigneto ad Apiro, al confine fra le denominazioni del Verdicchio, Jesi appunto, e Matelica. Due Verdicchio Classico Superiore assolutamente degni di nota: uno che piace più alle ragazze, La Giostra, pigiatura sofficissima ed estrazione del solo mosto fiore, l'altro invece preferito dai mascoli, il Prologo, più rude e saporito. L'Indigeno questa volta, da vero macho marchigiano, si è schierato con i maschietti, ma ad ognuno i suoi gusti. 



DI SORRISI E GRANDI VINI

E che sorrisi! E che vini! Ma voglio soffermarmi un attimo sui sorrisi: può dormire sonni tranquilli Damijan con cotanta discendenza. Grazie Tamara, per la disponibilità, per l'umiltà, per l'interesse. Per aver fatto in modo che il tutto non si riducesse a fredda degustazione di bevanda alcolica. Si impiega poco a capire la stoffa di una persona, quando questa è così limpida e luminosa. Per quanto riguarda i vini di Damijan Podversic poi, cosa potrei aggiungere mai io, povero indigeno: eleganti ed originali, rigorosi ed indimenticabili. La loro Malvasia si è aggiudicata il premio Paolo Angeletti "Il vino che comprerei", ma io avrei votato la Ribolla.



A-PARI-MERITO

I campioni di questa edizione per l'Indigeno sono stati, ex aequo, l'Apollonia di Federico Mencaroni e la batteria di Ferlat, nella sua interezza.

Mencaroni fa vino a Corinaldo (AN), dove terroir e vitigno concorrono alla produzione di Metodo Classico di livello straordinario. Quando ho bevuto l'Apollonia, Metodo Classico Brut Nature Millesimato 100% Verdicchio, sono rimasto di stucco: in silenzio per qualche secondo, ho ripensato a tante cose sentite, lette e dette, ho pensato alla Franciacorta, a Pinot e Chardonnay, a tante cose. Sarò pure marchigiano, e dire che sono fazioso è un eufemismo, ma diavolo, mi debbo sbilanciare: per me come la bollicina di Verdicchio non c'è niente. Questo Apollonia, mi pare 50/60 mesi sui lieviti, è deciso, ricco, cremoso, veemente nella freschezza e dalla sapidità compromettente. Perché si rischia davvero di non poterne più fare a meno. Prezzo da rendervi grazia alla mattina e prima di dormire. Fuoriclasse.

Ho bevuto diverse volte i vini di Ferlat tra FIVI e fiere varie, ed ho sempre ascoltato Moreno con molta attenzione. La prima volta non riuscii ad apprezzarli, e sapevo veramente poco o nulla sul vino. Poi, mi sono reso conto che il mio giudizio migliorava proporzionalmente all'accrescersi della mia consapevolezza sul tema "vino"; sai, quando cominci a capire fino a che punto puoi dire di saperne, di comprenderne. Comunque molto poco, di solito, secondo me. Oggi posso dire di non riuscire a togliermeli dalla testa i vini di Ferlat, dal Pinot Grigio al Friulano, dal Sauvignon al No Land Vineyard, dall'incredibile Malvasia Grame fino ai rossi. Vini dal seducente ventaglio olfattivo, riconoscibili, salini, vivi e dinamici. Vini che vorrei sempre avere a tavola, che vorrei avere persino ora qui accanto al notebook.



Mi ha fatto molto piacere vedere tanti produttori lasciare il proprio banco per andare ad assaggiare qua e la, scambiarsi bottiglie, entusiasti di condividere ed imparare. Vederli poco impiccati, disinvolti, sorridenti. Nel pieno spirito di un festival sempre molto easy, sobrio, genuino.

Mi toccherà fare diverse scampagnate. E' un duro lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo…

                                                                                                                           indigeno marchigiano







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