Mercato FIVI 2018 - Primo Tempo
Come ogni anno il Mercato dei vini Fivi 2018 si è risolto in una immensa, collettiva, grande festa. Come ogni anno la Piacenza del sabato sera, quella di notte, qualora esistesse, si è dimostrata la solita sfuggevole chimera. Alla fine bisognerà visitarla fuori dal periodo della fiera, per rispetto, perché sono convinto che il grigio tragitto Stazione-Expo non le rende giustizia.
Più di 18000 visitatori, 600 vignaioli indipendenti, 500 famigerati carrelli. Numeri da guerra civile che non si sono fatti sentire, debbo dire, considerando la disinvoltura con cui si girava fra gli stand, sempre una sedia disponibile ed un cesso libero in caso di necessità, e che per un vignaiolo assediato ce n'erano due ad aspettarti con la bottiglia in mano. Niente odori molesti, poche file, nessun incidente. Complimenti all'organizzazione, FIVI for president!
Più di 18000 visitatori, 600 vignaioli indipendenti, 500 famigerati carrelli. Numeri da guerra civile che non si sono fatti sentire, debbo dire, considerando la disinvoltura con cui si girava fra gli stand, sempre una sedia disponibile ed un cesso libero in caso di necessità, e che per un vignaiolo assediato ce n'erano due ad aspettarti con la bottiglia in mano. Niente odori molesti, poche file, nessun incidente. Complimenti all'organizzazione, FIVI for president!
Etichetta del Vignaiolo Italiano (Indipendente) e gli ingredienti del suo vino: uva, buonsenso, tempo.
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Ora, essendo stato il tempo del viaggio fra le amate sue Marche e Piacenza particolarmente fecondo, l'Indigeno era riuscito nell'arduo proposito di stilare una lista dei produttori da visitare: 99, numero dispari e malvagio. E che saranno mai 99 cantine per n vini in degustazione? E' forte in me il potere della suggestione.
Una volta entrato, non devo attendere un certo livello alcolico perché saltino tutti gli schemi, qualsiasi tattica elaborata a tavolino nei giorni precedenti: cotanto parco giochi aizza infatti in me una certa frenetica brama di conoscenza, ma non tipo studiare un libro, più quella conoscenza pericolante, gassosa, che si implementa saltando da una voce all'altra di Wikipedia. Quella dilettevole, insomma. Evviva!
Niente studio, quindi, della Cirò Revolution e del Gaglioppo (questo sconosciuto), niente confronto fra Verdicchio e Lugana, niente Lambrusco rifermentato né denominazioni piemontesi. E allora ecco come ho deciso di strutturare questo racconto: alla ca**o, o meglio ho deciso di non strutturarlo. Quindi seguirò l'ordine delle foto ritrovate nel cellulare, il tragitto della mia dolcissima passeggiata al Mercato, tra voli pindarici e saluti, l'incantesimo di un'etichetta bellissima o l'incanto per una avvenente vignaiola.
PRIMO TEMPO: SABATO 24/11
Pronti, partenza, via! Il giro di perlustrazione trova il primo check point da Patrick Uccelli, Tenuta Dornach, quando noto un folto drappello di persone dalle facce divertite. Al suo banco si respira infatti una certa allegria, perché Patrick è di una simpatia contagiosa, ha lo sguardo schietto e te lo senti amico. Ho letto molto su di lui, sulla sua filosofia di vita e di agricoltura, nutro una profonda stima per la sua persona, ed una sana invidia. I suoi vini sono decisamente non banali, semplici e molto sofisticati, territoriali e contemporanei. La punta di diamante è il G. (G punto) Mitterberg igp, un Gewurztraminer fermentato sulle bucce, di colore ambrato e naso incredibilmente complesso. Vino secco, dritto, lievemente tannico, di grande eleganza, niente a che vedere con i soliti stomachevoli traminer.
Il naturale fluire del circuito mi porta poi allo stand della Tenuta Patruno Perniola, cantina che inseguivo da molto tempo senza successo. Siamo in piena Murgia pugliese, a Gioia del Colle, terra di Primitivi. Ce ne sono ben tre sul tavolo, spaventosamente coerenti fra loro e con l'idea aziendale di preservarne le caratteristiche ed esaltarne le peculiarità, con vinificazioni poco invasive ed un uso del legno ridotto all'osso. Il mio preferito il Marzagaglia '13, 5 anni in acciaio e grande equilibrio e freschezza, sentori speziati e note balsamiche. Un Primitivo non troppo nerboruto, di grande eleganza e bevibilità. Decisamente uno degli assaggi rimasti più impressi.
Ci imbattiamo poi nei Nebbioli "marini" di Bajaj, di Monteu Roero (CN), dove conosciamo Adriano, baldo e ambizioso giovane che parla da vignaiolo navigato: ed ha molto da dire, come il territorio roerino, che vuole uscire una volta per tutte dall'ombra dei suoi ingombranti cugini altolocati. Parla ed esegue, indagando le potenzialità di un Nebbiolo che nasce dove una volta c'era il mare. Molto interessanti le due versioni di Langhe Nebbiolo: uno più tradizionale, cemento e acciaio, fragrante, giovane ed austero, l'altro visionario, affinato in anfora, che si concede subito con profumi esplosivi e grande dinamismo. Gita già messa in agenda.
C'è tempo per un breve saluto agli amici Eleonora e Paolo di La Calcinara, che doveva essere breve ma breve è non è stato, perché con un calice in mano da loro finisce sempre che qualcosa da dirsi, da ragionare, qualche stronzata per ridere di gusto, si trova. Ma l'Indigeno quando si parla di bere vino non è uno che perde tempo. Ho approfittato per sorseggiare il mio amato Clochard, Verdicchio di mare con piccolo saldo di Chardonnay sulle bucce, goloso come sempre, e ritrovare un Terra Calcinara 2015, Conero riserva "come una volta", in forma smagliante. Paolo dice che non gli era mai uscita una bottiglia così composta, equilibrata, tanto che non sa se vantarsene o diseredarlo, che è abituato a vini discoli. Sono disposto ad adottarlo io, Pa'.
Allo stand di fianco noto un ragazzo tutto arruffato calmo come un monaco zen, Lorenzo Mazzucconi, che ha apparecchiato il banco con 4 vini pastello e tante fotografie del suo mondo scosceso e bellissimo. Azienda giovanissima la sua Pizzo Coca, e grande rivelazione di questo Mercato. Anche qui rimango folgorato subito dal vino d'entrata, l'Igitì Alpi Retiche igt, capace di illustrare perfettamente, nella sua semplicità, l'idea del vignaiolo: rispetto del terroir e del vitigno, vini incentrati su frutto e freschezza, eleganza e beva.
Altri due assaggi marchigiani, fatti consecutivamente e con un po' di malizia. Si parla di Bianchello del Metauro, in entrambi i casi interpretato in maniera decisamente poco convenzionale per il genere. Da una parte Fiorini, rampante azienda certificata biologica di Barchi (PU), dall'altra Tenuta Ca' Sciampagne del vulcanico Leonardo Cossi, fervido integralista del vino naturale. Molto apprezzato l'Andy '16 di Fiorini, non filtrato, affinato in cemento e legno, di spiccata mineralità e buona struttura. Un Bianchello saporito e di sostanza, fuori dal coro. Più in là una vera e propria esibizione quella di Leonardo, vignaiolo indipendente e ribelle come il suo Bianchello (che non era in degustazione, ahimè), capace di attirare a sé una folla di appassionati del genere e non solo. Fra tutti i vini quello che più mi ha stupito è stato il Simandro, del quale non ho informazioni se non l'annata: "voi assaggiatelo, poi vi dico io che annata è" diceva con aria di sfida. "2012". Indagherò i segreti di questo vino e della sua straordinaria longevità, considerando la magnifica evoluzione.
Ho imboccato la strada di casa e non riesco più ad uscirne, aiuto. Era da un po' che volevo assaggiare questi vini dal vetro oblungo ed affusolato, dalle etichette così moderne e poco marchigiane. Ma l'azienda Vigneti Bonaventura è giovane e giovanile, e c'è un gran bisogno di rinnovamento nel panorama vitivinicolo regionale. Siamo ad Acquaviva Picena, e nel loro Pecorino Bàkchai barrique '15 si sente tutta la vicinanza del mare Adriatico, profumi agrumati e balsamici, con quella salvia così distinta che sembra di pestarla fra le dita sotto il naso. Molto equilibrato, l'utilizzo del legno non è invadente, ed il vino ne guadagna in termini di profondità e struttura. Grande soddisfazione.
Altro giro, altra corsa, altri giovanissimi produttori. Giulia e Nicola di Calalta, azienda ai piedi del Grappa, strizzano l'occhio agli avventori con bellissime etichette da trip allucinogeno, e l'Indigeno non si sottrae al "viaggio" proposto. Ragazzi di personalità i cui vini sono esempi di audacia e sperimentazione. Il Davvero è un Riesling renano macerato, affinato in tonneaux usate e non filtrato: ne viene fuori un calice di ambra opalescente, frutta matura e sbuffi balsamici, fresco, sapido e scosso sul finale dalla scia tannica. Davvero? E' stato subito amore col Grijer, Sirah e Grenache, vino piccante e pepato, scattante, di grande scorrevolezza. Spaccano di brutto, e scusate lo slang giovanile.
Guardate che bello il rubino vivace del "Montepulcianino" de La Marca di San Michele, tra le aziende fondatrici del meraviglioso progetto Terroir Marche. Sì, parliamo di quella San Michele lì, a Cupramontana (AN), il regno del Verdicchio. E allora Bastian Contrario, rosso ribelle in terra di bianchi che esplode di giovinezza, Montepulciano esile e fresco, genuino, dal tannino appena accennato. Bevuto fresco manda fuori di testa. Graffia solo per difendere la sua ragion d'essere, e fa bene. Alessandro aveva portato anche una mini-verticale di Passolento Castelli di jesi Verdicchio Riserva docg, e che ve lo dico a fare…
Arrivato allo stand di Cascina Garitina, dove speravo di conoscere finalmente Gianluca Morino (che non c'era) e di assaggiare il famigerato Morinaccio...sui lieviti (non c'era neanche lui, grrr), l'occhio viene subito attratto dai tre barattoli di terreno, dietro i quali si intravedono tre bottiglie apparentemente identiche. Ma proprio uguali non sono, i tre Nizza 900 (Nuovsent), vini tratti da vigne diverse, imbottigliate separatamente come veri e propri cru. Vini nati dalla volontà di valorizzare le differenze, i terreni, le annate, il vitigno stesso ed i vari cloni frutto di decine di anni di lavoro e di storia. Le etichette si chiamano Margherita, Cec e Vecchia 1961: quest'ultima viene da una vigna in selezione massale, impiantata fra il '58 ed il '61 su terreno calcareo compatto. Vino di carattere, naso ricco e sorso molto appagante per sapore e consistenza, bell'equilibrio considerando il volume alcolico. Grazie a mamma Barbera e babbo Gianluca.
Finalmente il mio amato Friuli, non vedevo l'ora. Torno da I Clivi, i cui vini l'anno scorso non riuscii a capire con somma pena nei riguardi della mia oscena ignoranza. Sapevo di non sapere, capivo l'incapacità di cogliere qualcosa di lampante. Qualche tempo dopo ho trovato la soluzione al mio struggimento proprio nella loro bio: "levità". Questa sì, l'avevo colta, ma non riuscivo a sublimarla. Vini di grande finezza, armonia, eleganti e straordinariamente complessi, ma ad un livello diverso, leggiadro, sfuggevole. Due narrazioni diverse del Friulano, Galea e Brazan, vini di territorio, laddove le denominazioni sono pura formalità (Colli orientali e Collio). Grazie per la ripetizione.
Marco Ludovico era sulla mia lista. Avevo letto di un colfondo di Minutolo e di un Trebbiano macerato in anfora. Trebbiano pugliese signori, dovevo vederlo coi miei occhi. Impavido ragazzo enologo e giramondo, tornato nella masseria di famiglia con la valigia piena di esperienze ed un obiettivo: produrre un vino suo, artigianale e genuino, in grado di raccontare il territorio. Non perde tempo dando vita al progetto Marco Ludovico - Enoartigiano in Terra delle Gravine. Non sapevo neanche che faccia avesse Marco, ma alla fine lo trovo, asserragliato dietro il banco, giacca nera e maglia del Boca, a servire vino ad un esercito di persone. Aiuto, torno dopo. Sarei tornato diverse volte nel corso della giornata, senza successo. Alla fine riesco ad ottenere un assaggio dei suoi vini: divertente il rifermentato Matìn, vinificato coi raspi, secco, leggermente tannico, da provare; una grande soddisfazione l'Amforéas, orange come piace a me, senza eccedere, elegante ed espressivo, di bella freschezza e mineralità, di territorio. C'è riuscito Marco, con rispetto e sperimentazione.
Il primo giorno di Mercato è oramai agli sgoccioli e l'Indigeno si appresta a riconsegnare il carrello quando salta agli occhi un'etichetta conosciuta, tutta verde, la squisita Vernaccia tradizionale di Montenidoli. Al banchetto c'è lei, eroica ed appassionata, la vignaiola-veterana (e per veterana intendo combattente) Elisabetta Fagiuoli. Donna e contadina rigorosa, che con entusiasmo mai domo persevera nel rispetto dei valori e delle tradizioni del suo territorio, e se ne fa baluardo. Parla alla terra e da essa riceve vitalità, entusiasmo, ritmo. Piango mentre mi illustra il rosso Il Garrulo, Chianti dei Colli Senesi, ottenuto dal blend di Sangiovese, Canaiolo, Malvasia e Trebbiano, rigovernate, secondo la regola dettata dal Barone Ricasoli. Un Chianti d'altri tempi, di grande freschezza, fragrante, dal gusto deciso ed asciutto. Pulizia e grazia espressiva, vino da sogno nella sua semplicità, sogno di una notte di mezza estate, sotto le stelle di San Gimignano. La mia colpa quella di essere arrivato da lei tardi, esausto, forse svogliato: è necessario che la riveda, a Montenidoli.
Fuori è notte, il Mercato chiude, si torna in camera ancora convinti, illusi, di fare una gran festa per le vie di Piacenza, ubriachi di vino e di vita. Un attimo dopo suona la sveglia, è domenica mattina. Non ci credo, l'ho fatto di nuovo…
continua...
BONUS TRACK
Vi rimando al minuto 7:08 del bellissimo video realizzato da WineNews dove Elisabetta Fagiuoli, che a differenza dell'Indigeno ha il dono della sintesi, spiega cos'è il Mercato FIVI come meglio non si potrebbe. E per essere sicuro che ne facciate tesoro, ve lo sbobino pure:
"Di questa fiera è bellissima la genuinità. Siamo qui in un mercato, siamo qui tra gente SEMPLICE, che vende i propri vini, senza problemi, senza essere più belli o più brutti degli altri. Questa è la grande bellezza di essere tutti uguali, e tutti nel grande scopo di proteggere la nostra terra. Perché saremo noi vignaioli a proteggere la nostra terra, e non questi grandi ispettori che arrivano e non conoscono niente. Evviva la FIVI."
G punto? Punto G vorrai dire ...... hi hi hi
RispondiEliminaPare si debba chiamarlo così...Nome da fascia protetta, ma vino decisamente pornografico!
RispondiEliminaGreatt post
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