Mercato FIVI 2018 - Secondo Tempo


Come ogni anno Piacenza la domenica mattina presenta uno scenario post-apocalittico, una bruma insistente smussa gli angoli delle cose, il genero umano è oramai estinto, tutto è immobile. E noi si è zombie golosi di paste alla crema che, data la catastrofe, non si trovano. Come ogni anno, la signora al banco del supermercato fuori la stazione si fa più bella, di una bellezza felliniana, accondiscendente. Panino col salame cotto e via.


Chiedo venia per queste digressioni, ma il Mercato per me è anche tutte queste cose. E' lo sguardo di sfida ai rivali alla fermata della navetta in Piazzale Marconi, li riconosci dal porta-bicchiere al petto. E' il bello di trovare compagni di viaggio con la tua stessa passione una volta saliti. E' una nuova guerra ad accaparrarsi un carrello. E' un'avventura, insomma. L'ultimo giorno di FIVI cambia la strategia: sai di avere poco tempo, pochi soldi e soprattutto pochi assaggi garantiti dal fegato. Provi a ricollegare qualche neurone e farti due conti, ma bagordi e lezioni di tattica non sono molto compatibili. 

SECONDO TEMPO: DOMENICA 25/11

Imperdibile sicuramente una capatina da Elisa Mazzavillani, Vini Marta Valpiani, che per me, esclusivamente nella mia testa come una specie di idea inconscia, è la grande incarnazione del Vignaiolo Indipendente. Sarà che il suo compleanno capita in occasione del Mercato, sarà che è seguendo i suoi post che mi sono appassionato a questa grande associazione. Non lo so, auguri! Elisa stravolge, punta tutto sugli autoctoni, li fa esprimere. Vini di forte personalità, la sua, vini suoi. Finalmente ho potuto assaggiare la sua Albana, il Marta Valpiani Bianco, che l'anno scorso mi sfuggì per un pelo: 2017, annata complicata, ma risolta con grande felicità. Un vino schietto, gastronomico e succoso, avvolgente, goloso. Una roba così ti rimette al mondo. Una Romagna in rampa di lancio che, valorizzata da produttori giovani ed illuminati come Elisa, sta tirando fuori vini dinamici e contemporanei, fatti apposta per la tavola. Evviva!


L'incontro con il mondo Ermes Pavese, famiglia di viticoltori a Morgex, in Valle d'Aosta, rappresentava un assoluto inedito per l'Indigeno. E quando ci si approccia per la prima volta a qualcosa, che sia vino o calcio o matematica, bisogna cominciare dalle basi. Allora: il Prié Blanc è un vitigno coltivato a 1200 metri di altitudine, allevato a piede franco, resistito alla filossera. Solo io non lo sapevo? Va bene, allora parliamo di vino, quello "base", che mi catapulta in questo universo unico nel suo genere come meglio non si potrebbe: Blanc de Morgex et de La Salle, naso fine, sentori erbacei, tanti agrumi, carica minerale, lascia una sensazione di grande freschezza. Sembra quasi di respirare l'aria gelida e pura di lassù, del Monte Bianco. Corpo agile, acidità tagliente e grande sapidità. Vino raffinato, con le componenti dure che disegnano un profilo aristocratico. I vini vengono serviti da una ragazzina, Ninive, figlia di Ermes, che gestisce la degustazione mia e di altri avventori con la sicurezza di un locandiere navigato, maneggiando più bottiglie alla volta e passando con disinvoltura dal racconto di un vino all'altro. Tanta ammirazione per la sua competenza, per la preparazione. Complimenti!


Uno dei grandi propositi indigeni di questo Mercato FIVI era visitare tutti gli esponenti presenti della Cirò Revolution, un movimento spontaneo ed inclusivo di vignaioli amici che hanno deciso di condividere un'avventura, ovvero la riscoperta di un vitigno, di un vino, di un territorio. Risucchiato nel vortice di mille assaggi non vi ho ovviamente tenuto fede, riuscendo a visitare solamente Cataldo Calabretta. Dici poco. Bellissime bottiglie, grandi vini. Tutti. Ma sono qui per il Gaglioppo, e trovo quello che cercavo nel Cirò Rosso Classico Superiore, allevato ad alberello e vinificato in cemento, materiale per il quale Cataldo stravede. Il vino presenta un bellissimo colore granato scarico, è balsamico, con rimandi di spezie, ha tannini fini, decisamente scontrosi e molto saporiti. E' un vino strano, al quale non sono abituato, nobile, poco immediato, con questo sorso secchissimo, asciutto, magro, ma di grande forza. Lì per lì l'ho definito "scremato", questo sorso, fantastico e affascinante. Ha tutta la mia attenzione, per il futuro, questo Nebbiolo di Calabria.



I rossi di Noemi Pizzighella, giovanissima titolare dell'azienda Le Guaite di Noemi, veri rossi di Valpolicella, li riconoscerei anche a mille km di distanza, nei loro abiti bellissimi, colorati, moderni, unici. Anche lo sguardo, di Noemi, lo riconosci subito, ardito, intraprendente, ambizioso, risoluto. Ho bevuto molte volte i suoi vini, in degustazione come a tavola, e ne sono un grande fan. Finalmente riesco ad assaggiare Tisbe, un Cabernet Sauvignon vinificato in stile Amarone, con un lungo appassimento, e successivamente affinato i barriques. Un vino sontuoso, dall'elegante bouquet di fiori secchi, spezie e frutta matura, che esplode letteralmente in bocca, contando su una persistenza pressoché infinita: rotondo, vellutato, dalla fittissima trama tannica, con una struttura poderosa che però non affatica mai la beva.  Le lunghe lavorazioni, tratto stilistico dei vini di Noemi, restituiscono liquidi di grande equilibrio, estremamente complessi e soprattutto - aspetto mai banale - comprensibili. E' questo il vino che porterei alla cena del sultano, amici miei, facendo invidia agli invitati. Tiè!


Quando ero di stanza nell'amato mai dimenticato Friuli (e no, niente militare) era già tutto finito. Lo scorso anno al Mercato FIVI la scelta più difficile: rimaneva una bottiglia, ancora chiusa. La compro al buio o gliela faccio stappare per assaggiarla? Fanculo, la compro, tutta la vita. Sto parlando di uno dei grandi Friulano, l'illustre Rolat di Dario Raccaro, a Cormons (GO). Finalmente ho l'occasione di assaggiarlo, e non tradisce le aspettative. Grande interpretazione, perfetta armonia. Naso complesso ed intrigante, sorso ampio, rotondo, ravvivato da acidità dosata e gustosa sapidità, con l'inconfondibile finale ammandorlato. Un vino tanto ricco e generoso da poter pensare che faccia legno, ma è solo ponka e tanto manico.


Aneddoto time: lo scorso anno, uscendo dal bagno, rigenerato e pronto per nuovi assaggi, dissi al mio amico che saremmo andati in cerca di produttori romagnoli. E fu in quel momento che un tizio, a metà tra il ficcanaso e lo spirito guida, tuonò con tono profetico "Andate dal più bravo di tutti, Gabriele Succi". Senza dargli molto peso, infastiditi, non lo ascoltammo. Già seguivo Gabriele con grande entusiasmo, tra blog e social, per la competenza ed i propositi, ma soprattutto quell'ironia caustica eppure costruttiva che possono vantare solo i migliori. Con la sua azienda Costa Archi, a Castel Bolognese, ha scommesso sul Sangiovese in tempi non sospetti, ed i vini gli danno ragione: spettacolari, tutti, senza dubbio tra i migliori assaggi del weekend. Sinceri, schietti, espressivi ed eleganti in tutte le diverse interpretazioni. Se proprio devo dirne uno, dico l'Assiolo: un Sangiovese come piace a me, che fa dell'equilibrio fra frutto, tannino e acidità il suo punto di forza. Quello che mi rimane, a parte la coinvolgente chiacchierata, è la gran voglia di andarlo a trovare, di vedere con gli occhi quello che già mi ha mostrato il bicchiere. Il Mercato FIVI è questo, prima di tutto.


Punto uno: Flavio, ora alla guida dell'azienda dela famiglia Sobrero, è un giovane vignaiolo con il quale si parla molto bene, di vino e di altro. Punto due: l'Indigeno può ancora permettersi i suoi Barolo. Punto tre: si da il caso che i vini in questione siano fatti proprio come piace a me, tipici ed austeri. Sapete, tre indizi fanno una prova, così sono tornato anche quest'anno al suo banco per assaggiare la nuova annata di quel Ciabot Tanasio '13, Barolo sintesi di tre vigneti diversi a Castiglione Falletto, che l'anno scorso mi lasciò di stucco. E nonostante la 2014 abbia prodotto un vino dalla beva più fluida e dal tannino già più smussato, ne ritrovo i caratteri: la balsamicità, le spezie, la robusta spalla acida, la mineralità, l'equilibrio. Elegante ed essenziale.


Altro proposito era quello di approfondire la mia conoscenza del Vulture, perché dove ci sono viticoltori amici, giovani, appassionati e preparati, che remano nella stessa direzione ed hanno l'urgenza di raccontare la propria terra ed il proprio lavoro, c'è l'Indigeno. Deve esserci l'Indigeno, che così è nato e questi stessi valori condivide. Parlo di Generazione Vulture, per chi avesse voglia di approfondire, passando per l'occhio fatato di Mauro Fermariello. Ebbene, trovo il mio tesoro da Musto Carmelitano, quando ne scorgo le inconfondibili etichette, semplici e bellissime. Vini di grande personalità, in grado di esprimere le caratteristiche del territorio dove nascono. Il Serra del Prete è il loro vino più rappresentativo, in grado di rapirmi al primo sorso. Vino integro, con un profondo rispetto del varietale attraverso l'affinamento in cemento, e vino autentico, dai tannini ancora un po' ruvidi e tutto giocato sulla freschezza. Ecco l'Aglianico del Vulture


Arriva la pausa pranzo, ultimo pit stop per rifocillarsi, estrema preparazione agli ultimi disperati assaggi, che sono tanti, a differenza del tempo che scorre inesorabile. Ma non siamo soli, e questo ci è d'aiuto: tutt'intorno a noi altri appassionati tracciano con il compasso traiettorie azzardate sulla mappa del Mercato, come fosse un carteggio nautico. Per le ultime ore si prospetta aria di tempesta.


Assolutamente dovuta una piccola sosta da Nunzio Puglisi, uomo di una squisitezza unica e vignaiolo di profonda competenza. La sua azienda Enò-trio si colloca sulle pendici dell'Etna, sul versante Nord, con vigneti che arrivano fino a 1100 metri di altitudine. L'anno scorso rimanemmo ammaliati, io ed i miei compagni indigeni, dal suo Nerello Mescalese, un prodigio di vino siculo ed etneo. Oggi invece sono qui a parlare di un altro capolavoro di Nunzio, il Tiurema, da uve Pinot Nero coltivate a 1000 m, che ben si sono acclimatate sul vulcano, esprimendosi a livelli sorprendenti. Un rosso di grande eleganza, dal bouquet intenso e vivo, caratterizzato da tannini raffinati. Una varietà complicata, bizzosa, che ogni anno darà vita ad un liquido dalle caratteristiche uniche. Non c'è un teorema esatto ed immutabile, c'è un'idea, un progetto, forse una scommessa, che già pare stravinta.


Lo dico sempre: in realtà non so molto riguardo al vino, ma tutto quello che so l'ho imparato da Edi Keber. In una chiacchierata di due ore in quel di Zegla, un sabato mattina, tra le più intense ed importanti della mia vita. Ricordo la mano fatta poggiare sul freddo acciaio e la domanda: "Voi ci dormireste qui dentro? - beh - il mio vino no". Lo ricordo come se fosse ieri [sospiro]. Al Mercato Edi non viene, ma è degnamente rappresentato dai figli, Kristian e Veronika: lui, vignaiolo predestinato tutto grinta, con una passione sconfinata per il Collio, lei, delicata e gentile. La "K" verde solo a vederla mi stringe il cuore, e allora cosa volete che vi dica: il Collio Bianco di Keber, unione di Friulano, Ribolla e Malvasia come da tradizione, è la perfetta sintesi di un territorio, un bianco di pregevole armonia e di grande profondità gustativa, che si rivolge al cuore e alla memoria. Che grande vino, senza confini.


Il tuffo nel mio passato friulano mi ha ingolosito, quindi decido di andare in cerca di un giovane vignaiolo che produce vicino Trieste, Gabrijel Cernigoi. Trovato! Faccio per avvicinarmi, ma il mio istinto indigeno mi impone un breve saluto a Roberto e Margherita, di Ca'liptra, che il richiamo del Verdicchio è un canto di sirene. Azienda giovane e piccina di San Michele a Cupramontana, che si sta ritagliando velocemente il suo posto tra i grandi. C'è da assaggiare la riserva 21 S. Michele '16, che è in stato di grazia: un Verdicchio di grande stoffa, arrotondato dal passaggio in legno, intenso e polposo. Ma a rapirmi è il Kypra, Verdicchio autentico, campione di sapidità, bello teso e dritto anche in un'annata spietata come la 2017. Mi voglio rovinare: forse è stilisticamente il verdicchio che preferisco fra i mitici cuprensi.

Salto al banco seguente, dove finalmente conosco Gabrijel di Gabì wines, ragazzone quieto ed imperturbabile, qualcosa mi dice solo apparentemente. Parlando con lui riesco a sentire la bora triestina che mi strattona la giacca, e la festa delle osmize. Il suo è un ritorno alla terra, fatto di studio, viaggi, conoscenza e innovazione. Nella sua Vitovska '16  trovo tutto quello che cercavo: un vino di personalità, sapido, con sentori iodati e mineralità marina. Un ricordo.


Bonus wines: due vini così diversi, eppure accomunati da una qualità non banale: vini "emozionali", da associare ad un particolare stato d'animo, vini che quando li assaggi pensi "so benissimo quando lo vorrei". Da una parte Rado Kocjančič, che in località Dolina (TS) vinifica un uvaggio di 15 varietà a bacca bianca da un vigneto secolare, il Brežanka: tra le varietà tipiche friulane ed internazionali sono presenti persino due uve sconosciute mai mappate. Vinificazione ancestrale, profumi e sapori intensi, complessi, speziati ed antichi. Dall'altra Giorgio Perego dell'azienda Perego&Perego di Rovescala (PV), Oltrepò Pavese, terra di Bonarda e di grandi rossi: attenzione alla tradizione, rispetto per la natura, sperimentazione ed innovazione. A parlarci si capisce subito: Giorgio è appassionato, e si fa il c**o per portare nel bicchiere il territorio  e tutto se stesso. Ecco, ne Il Barocco '16 c'è questo e anche di più: un vino seducente, dalle note evolute perfettamente scandite, balsamico a tratti, dal sorso ricco, pervasivo, consolatorio. Cercherò di comprendere il rebus del nome. Brežanka e Barocco, vini vicini e lontani, empatici, per quelle sere un po' così.



E prima di andare, un veloce saluto agli amici marchigiani. Subito da Marika Socci a fare il pieno di sorrisi, che bisogna contrastare la malinconia già galoppante dovuta alla partenza. Che spettacolo il Peter Luis! Metodo Classico brut da - indovinate - uve 100% Verdicchio, bolla cremosa, grande freschezza e golosità garantita. Il finale tipicissimo poi, con quella gustosa mandorla fresca, ti rimette al mondo. Il Verdicchio è roba loro, come le bollicine a quanto pare. E pensare che i Socci non erano sicuri di riuscirci… 
Ultimissimo saluto ad Alessandro Starrabba Malacari, uomo gentile e signorile che ho personalmente eletto, senza farglielo sapere, a zio preferito. Negatemelo, se ci riuscite. Il suo Grigiano è un vino di grande carattere, dalla struttura poderosa, secco, complesso e di sostanza. Montepulciano marino, il Rosso Conero per come lo intendo io.  Me ne vado con qualche goccia nel calice, mi servirà per il ritorno.


Porto con me i sorrisi, il clima familiare, litri e litri di vino da bere con gli amici indigeni, una gran voglia di Kebab - soddisfatta all'istante - e di andarli a trovarle quanto prima, questi magnifici vignaioli indipendenti.


Indigeno Marchigiano

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