ViniVeri Assisi 2019 - Chi naturale comincia...




Per noi marchigiani dell'entroterra un evento enoico ad Assisi è una vera e propria manna dal cielo. Certo, facile stare sulla costa, respirare l'aria mitigata dal mare, buttar l'occhio e scorgere l'orizzonte, imboccare l'autostrada o saltare su un treno e via veloce verso il Nord(e), ricco, vivo, sempre in fermento. Per noi appenninici una fiera ad Assisi è una grande occasione, e via ad accendere ceri a fratello Francesco come se non ci fosse un domani. Se poi l'evento in questione è il primo vero appuntamento immancabile dell'anno, il primo "naturale", ovvero nientepopodimeno che l'anteprima di ViniVeri, fantastico appuntamento di "Vini secondo Natura" in quel di Cerea nel primo fine settimana di Aprile, cosa volete di più dalla vita? Amaro Lucano levati proprio. 
Il consorzio ViniVeri accoglie tanti vignaioli, dall'Italia e dall'estero, che condividono una filosofia produttiva rispettosa dell’ambiente e della biodiversità, naturale e sostenibile. La chiamano La Regola: generare vino senza pesticidi, senza l’uso della chimica di sintesi in vigna e senza addizioni e stabilizzazioni forzate in cantina. Mantenere l'identità del prodotto senza buttare e senza aggiungere nulla, fino al bicchiere. Facile no?

A rendere poi ancor più stuzzicante l'occasione metti - per questo Indigeno, ingordo bevitore e proverbiale taccagno - la presenza de la crème de la crème della produzione vinicola italiana. D'altronde, stante la mia attuale fragilità economica (ma cosa pretendi da un giovane libero professionista con il vizio dell'alcole...), come potrei mai anche solo pensare di bere i nuovi fiammanti Bordò marchigiani, i mitici rossi di Bea, tanti rispettosi Champagne, gli amati macerati friulani ed infine, il Barolo immortale del Citrico? Anche qui, facile. Assisi ViniVeri, per cominciare la stagione con il piede giusto.

Gli assaggi

Il miglior assaggio della giornata non è marchigiano. Ecco, l'ho detto. Calmo. Respira, Indigeno. Del vino più spettacolare ve ne parlerò alla fine, prima gli amici marchigiani e qualche altro assaggio su e giù per l'Italia.

I marchigiani, ovvero l'amici, lu Bordò, il piceno e l'arshura

Partiamo col botto: Marco Casolanetti di Oasi degli Angeli e The Rock Valter Mattoni. Che bello averli qui, vicini, con i loro magnifici vini. Pare che cane e padrone, nella maggior parte dei casi, si somiglino. Vogliamo parlare di vino e vignaiolo? Da questo punto di vista è stato molto interessante confrontare i loro cavalli di battaglia: Kurni e Kupra vs Arshura e Rossobordò.
I primi due sanno di "vino prototipo", di dimostrazione, sono ricerca della perfezione enologica, indagano il limite delle potenzialità di uva e territorio. I secondi sono le loro controparti umane, quotidiane, sincere, schiette. Il Kurni '16 va preso per quello che è, ovvero un giovane puledro, impenetrabile, un concentrato di frutto, morbido ed avvolgente. Eppure ha un tannino finissimo che gli regala grande armonia. Il Kupra '15 è l'altro gioiello di casa, affascinante per complessità e progressione, tensione, finezza. I suoi tannini sono già seta, chissà cosa potrà diventare con il tempo. E pensate che gli preferisco il '14, ancora piè fresco ed elegante.
L'Arshura è oramai in pianta stabile nell'olimpo dei grandi Montepulciano in purezza. Vino che gioca sui muscoli, su grinta e spessore. La sua struttura è progettata magistralmente, a partire dall'uso accurato del legno, e per questo sa essere estremamente appagante e verace. Il manico di Valter trova il suo compimento nel Rossobordò '15, vino di grande eleganza, succoso, stratificato, lunghissimo. Ne risulta un liquido cesellato, l'opera di un artista (altro che imbianchino!), dal tannino levigato e dalla squisita freschezza.


Mi ha colpito il Rosso Piceno Superiore Quattro Tempora '15 della cantina Aldo Di Giacomi a Castorano (AP). Vino di corpo e struttura, non dico raffinato perché forse ne svaluterebbe il carattere di autenticità che lo contraddistingue. Penso sia un ottimo esempio di Rosso Piceno che vuole un po' di più, senza c**o rifatto e trucco pesante.
Quando leggi Maria Pia Castelli pensi subito allo Stella Flora, blend di Pecorino, Passerina, Trebbiano e Malvasia, macerato e libero. Sì, libero, perché ogni stagione questo vino viene fuori in modo diverso, come vuole lui: questa '14 riprende un po' le caratteristiche della '12, più pulita ed elegante, meno intensa forse rispetto ad altre annate, ma di grande carattere. Sicuramente più di mio gusto. Questo vino non stanca mai, ogni anno si rinnova e rinnova la voglia di vederlo, berlo, ascoltarlo. Poi c'è l'Erasmo Castelli '13, potente, elegante, meravigliosamente evoluto. Oggi mi sono riavvicinato al Montepulciano, vitigno meraviglioso, rosso simbolo delle Marche: perché è vero che adesso ci piacciono i vini esili, trasparenti, smagriti, ma vogliamo parlare quanto può essere consolatorio un grande Montepulciano?
Restando in tema, il Kun di Clara Marcelli, annata 2016, si conferma nella sua grandezza, in una quadratura ormai indiscutibile. E' ricco e complesso, quasi masticabile, ed ha un ritmo coinvolgente.


Attenti a quei due: Giovanni Allevi e Roberto Corradetti, in foto, fra siparietti e battute veri mattatori e ambasciatori delle Marche. Simpatia, umiltà, schiettezza. Fantastici. Ma parliamo di vino.
Il Chiaroro '14 dell'Azienda Agricola Cameli Irene, Marche Bianco igt da uve Pecorino con piccolo saldo di Trebbiano, è un esemplare unico nel panorama vinicolo regionale. Macerato corposo, pieno e rotondo, bello saporito. Da abbinare a piatti non banali, dal gusto deciso.
Invece la cantina Allevi Maria Letizia mi sorprende con un Pecorino in purezza, il Mida '17, veramente favoloso. E pensare che tendo a rifuggire i bianchi di quest'annata diffusamente sfortunata… Me tapino. Un vino sicuramente importante, speziato, con bellissimi sbuffi balsamici e minerali. Interpretazione magistrale.



Prosecco VS Champagne

Due bolle straordinarie, davvero. Così diverse, dal territorio al prezzo, per non parlare del blasone. Eppure speciali. Da una parte il Valdobbiadene Prosecco di Casa Coste Piane, rifermentato in bottiglia, velato, sorso saporito, fragrante, con la frutta in primo piano, golosa rusticità. Era un 2017 e quindi già da un annetto di bottiglia con i suoi lieviti, ad arrotondarlo e dargli una maturità diversa, inconsueta: a volte chiudo gli occhi e riesco a ritrovare quella straordinaria cremosità in bocca, in barba al prosecchino. Dall'altra abbiamo gli Champagne di Charlot Père et Fils, fantastici, quasi anomali, grande acidità e sale a non finire, con una leggera nota ossidativa a renderli indimenticabili. La comunicazione con il giovane Pierre era improbabile, ma i bicchieri traducevano alla grande.


L'Umbria bianca

Fosse mai non ne siate a conoscenza, vi dico che in Umbria si fanno dei bianchi pazzeschi. 
Cantina Ninni sfodera un Trebbiano Spoletino, il Poggio del Vescovo '17, in grande spolvero: ha polpa e profondità, sale e freschezza agrumata. Molto buono, e Gianluca Piernera prometteva un 2018 ancora migliore. L'Indigeno si fida!
Tutti ad esaltare i grandi rossi di Raina ed io, da sfigato, prendo le parti degli emarginati. In questo periodo a parlare di bianchi emarginati ti prendono per pazzo. Ma con un po' di fortuna potrebbero anche farti ministro. Qui Grechetto e Trebbiano Spoletino fanno una breve macerazione sulle bucce, trasformandosi in liquidi luminosi ed inaspettati: ne trae particolare giovamento il primo, non il solito prevedibile Grechetto, ma un vino rinfrescante, succoso, balsamico e davvero molto espressivo. Rimane la pena di non essere tornato in tempo al banco per assaggiare Passito e Vermouth. Un classico.


Dalla roccia alla ponka

Beniamino Zidarich è, tanto quanto i suoi vini, vera dura pura espressione del Carso. E' il suo modo di essere e me lo conferma ad ogni nostro incontro, e credo qui risieda la mia grande fascinazione per lui. Nei suoi vini c'è tradizione e ricerca, rispetto del varietale e grande espressività, comprensione profonda del territorio. Superba la Vitovska Kamen, vinificata in vasche aperte di pietra carsica con lunga macerazione: vino di pietra, vino vero di territorio, tagliente e minerale, nessun vizio tannico che possa tradire la macerazione (perché da queste parti ci sanno fare), persiste nella memoria e lascia in bocca la salsedine di cui è pregno.


Dal Carso saliamo ad Oslavia, nel Collio, da Dario Princic. Artigiano del vino dai lineamenti duri, che concorrono a delineare una figura che trabocca carisma: pochi convenevoli, versa il vino, lo racconta in due frasi, conclude dicendo che "è già finito, era già finito prima di andare in bottiglia, è andato tutto ai giapponesi". Del Bianco Trebez '12 serbo ricordi confusi, sfocati particolari su vinificazione e affinamento, nessun appunto su sentori e beva. Ma tanto cosa importa, non c'è mai stato. Ricordo distintamente che era eccezionale, forse era solo un sogno.
Stefano Novello, vignaiolo e titolare di Ronco Severo a Prepotto (UD), nei Colli Orientali del Friuli, è invece un friulano piuttosto singolare: simpaticissimo, battuta sempre in canna e confidenza subito. Sempre molto divertente bere da lui. Si conferma spettacolare il suo Pinot Grigio Ramato, con un colore che ruba l'occhio ed un sorso polposo e fine, di grande equilibrio (a dispetto dell'etichetta). Ma ad entusiasmarmi questa volta è lo Schioppettino: tipicamente pepato, trasuda energia, giusta dose di tannino e freschezza ad esaltarne la bevibilità travolgente.


Rossi in cerca di riscatto

Primo assaggio di Cesanese in assoluto per l'Indigeno, bella rivelazione. Vitigno autoctono a bacca nera simbolo della viticoltura laziale, per molto tempo dimenticato ed oggi riscoperto, anche se la strada è ancora lunga. Il vino merita e le premesse ci sono tutte, anche grazie a produttori come l'azienda biodinamica Carlo Noro, che mette in campo idee adeguate e forze fresche. Due versioni di Cesanese del Piglio, stessa annata 2016: il Collefurno su argille e marne calcaree ed il Torpiano su suolo vulcanico e argille rosse. C'è complessità speziata e materia da vendere, c'è personalità. Personalità diverse e particolari, date dai suoli differenti. Breve menzione anche per il loro bianco, Passerina del Frusinate Costafredda, veramente gustoso.
Il Taurasi gode sicuramente di ben altra fama, eppure quando si parla di grandi rossi non gli viene mai corrisposto il giusto credito. Beh, l'Indigeno gode del Taurasi Sant'Eustachio di Boccella, signor vino non omologato, tipico e riconoscibile. La parola d'ordine è rispetto, per l'Aglianico, con i suoi tempi e le sue caratteristiche. Coltivato a Castelfranci (AV) a circa 600m di altitudine, questo Aglianico di montagna esprime tutte le sue virtù di vino moderno, sottile ed elegante nonostante il corpo, destinato a dare ancora molto negli anni a venire.


Senza titolo

Senza titolo, tanto cosa volete che vi dica?
Bello, bellissimo vedere Marta Rinaldi, parlarci, capirne il carisma, coglierne la sostanza, toccare con mano la prosecuzione della specie. Il Barolo Brunate '14 non la convince appieno e te lo dice senza mezzi termini: non è stata un'annata tradizionale, è meno severo del solito, più delicato. Ma è  ben affilato, elegantissimo, e per me assolutamente indimenticabile.
E poi il presidente Giampiero Bea, tutto preso a mostrarci sul cellulare le sue prodigiose viti maritate di Trebbiano Spoletino, ultrasecolari, mastodontiche, immortali. Provate il suo Pagliaro, giusto per capire come si doma un vitigno furioso come il Sagrantino: complesso e avvolgente, dalla trama tannica straordinariamente integrata.


Il campione

Come promesso, l'assaggio più esaltante della giornata, ovvero il Solo MM15 di Vodopivec. Etichetta da singola vigna, Vitovska in purezza che affonda le radici in un terreno fortemente roccioso, quasi privo di terra, povero, severo, autentica essenza carsica. Lunga macerazione in anfora e affinamento in legno per due anni. La differenza con le altre bottiglie è lampante: prorompente mineralità, toni affumicati, detona in bocca con aromi di vernice ed idrocarburi, rotondo eppure quasi immateriale, etereo. Liquido che a momenti trascende il concetto di vino. Lo segno adesso per il resoconto di fine anno: top 3, senza ripensamenti.


Se questo era solo l'antipasto, chissà cosa ci sarà da aspettarsi dalla portata principale a Cerea, 5-6-7 Aprile 2019. Andateci se potete, fortunelli ben geo-posizionati in questa penisola lunga e stretta e piena di scompensi.


indigeno marchigiano





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