TerroirMarche "the fuckin'" Festival 2019!

Quando l'Indigeno canta viva #terroirmarche mica scherza! Quando dice che i nostri terroiristi sono i vignaioli più belli che ci siano non racconta frottole, né tantomeno ha alzato il gomito (o perlomeno non ancora). Tre giorni di vino bio, rispetto e tanta cultura in una cornice meravigliosa come La Mole Vanvitelliana di Ancona, che è un po' - diciamocelo - il coronamento di un percorso, un primo punto d'arrivo per questo festival dal carattere itinerante. Peculiarità questa che fa storcere il naso a qualcuno ma che questo indigeno trova deliziosa, necessaria, nostalgica ed estremamente contemporanea: Maometto che ha compreso lo spirito dei tempi, si è rimboccato le maniche ed è andato alla montagna. Ma non è missione apostolica, è semplicemente il frutto di uno spirito inclusivo e cosmopolita.  Dicevo di Ancona, capoluogo e baricentro delle Marche, forse un po' meno di TerroirMarche. Un'Ancona comunque sicuramente ricettiva, più di come l'avessi lasciata negli indimenticabili anni universitari, anche se non empatica quanto Macerata. Questione di dna. 

Ma passiamo agli assaggi, elencati in rigoroso ordine cronologico, che è anche un modo per giustificare le foto finali mosse, sfocate, storte. Assaggi estremamente soddisfacenti, a dimostrare la grande qualità che il nostro territorio è in grado di garantire quando viene maneggiato con il giusto rispetto.

tomassetti. (Senigallia AN) - Si parte con Tomassetti. come da tradizione (per il secondo anno consecutivo, da qualche parte bisognerà pur cominciare...), ma non vi nego che dietro questa scelta ci sta un ragionamento ponderato. Per prima cosa producono vini moderni e di grande beva, vini attuali, dalla bassa gradazione alcolica e perfetti per stimolare la sete, e poi si sa, Matteo ha molto da dire e da trasmettere, per cui è molto stimolante confrontarcisi con la massima lucidità. Molto convincente  il nuovo arrivato "Fricò" 2018 Marche Bianco igt, figlio di una vigna maritata promiscua recentemente recuperata, un piccolo ritaglio di storia di economia mezzadrile: principalmente Trebbiano, poi Verdicchio, Malvasia e Moscato, vinificato con macerazione a cappello, sincero e saporito come si addice ad un vero vino da tavola. In grande spolvero anche i fratelli più affermati: la verve tesa ed asciutta del "Mietitore" 2018, Trebbiano in purezza, e la gentilezza, la leggiadria e la bevibilità strepitosa di una grande interpretazione marchigiana di Sangiovese, aka "Renudo". Ho apprezzato in generale la riconoscibilità stilistica, che corre sui leitmoiv di freschezza e mineralità.

Broccanera (Montale di Arcevia AN) - Questa cantina è cresciuta talmente velocemente che non me ne sono accorto, ed ora viaggia stabilmente a livelli di eccellenza. Ma non si sono crogiolati ed anzi, mi hanno tirato fuori un Verdicchio che non temo di definire magnifico: sto parlando del "Cana" 2017 Marche Bianco igt, che assaggio dopo assaggio continua a stupirmi e poi a convincermi. Verdicchio macerato sulle bucce in anfore di terracotta di Fratterosa, saporito, intenso, e caratterizzato da affascinanti note eteree. Ottima padronanza della tecnica. Chissà se anche a Gesù, nelle celebri nozze, il vino venne così buono… La qualità di una cantina si misura spesso dal vino d'entrata, e qui non ci si smentisce: veramente ottimo il "Suprino", se non sbaglio annata 2016 (alla faccia del vino d'entrata), fresco, snello, marino. Per quanto riguarda il Metodo Classico Extra Brut (ma è un Dosaggio zero) ormai le parole sono superflue, va bevuto e goduto per capire.


Ospiti: Friuli-Venezia Giulia - Banchetto ben fornito di vini di produttori friulani visitati dai nostri terroiristi. Vini serviti da sommelier gentili e studiati, ma sarebbe stato bello potersi confrontare con i vignaioli e ravvivare qualche conoscenza. Tra le bottiglie rimaste impresse ovviamente un mio grande amore indigeno, il Collio Bianco 2017 di Edi Keber, uvaggio di Friulano, Malvasia Istriana e Ribolla Gialla, che in un'annata non eccezionale riesce ad esibire un equilibrio saldo, che gioca fra morbidezze e mineralità, un vino-simbolo quando si parla di territorio. E poi il "Morus Alba" di Vignai da Duline, bottiglia messa nel mirino da tanto tempo ma sempre sfuggita, blend di Sauvignon e Malvasia Istriana: che profondità, che eleganza, che persistenza! Vino magico, poesia liquida.


Fattoria Nannì (Apiro MC) - Quello che preferisco dei vini di Roberto Cantori è l'essenzialità, che si traduce in un'espressività sempre sobria e molto raffinata. Il suo "Origini" 2018 Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Superiore (la denominazione necessita decisamente di una bella accorciata di nome) è la materializzazione di questo tratto stilistico, con i suoi aromi delicatamente fruttati ravvivati dalle note agrumate, la tipica mandorla, il sorso teso ma bello ampio, salato. Un Verdicchio autentico, che secondo me potrà dare ancora di più con un po' di bottiglia alle spalle.

Moroder (fraz. Montacuto, Ancona AN) - Ho percepito tutti i Rosso Conero in grande forma, ma in particolare "Dorico" 2015 Conero Riserva docg formidabile, nel quale sono amalgamati alla perfezione un grande vitigno come il Montepulciano ed un terroir unico. Il Suo terroir, ne rimango convinto. Sentori di piccoli frutti scuri e marasca sotto spirito, sbuffi balsamici, trama tannica incalzante, è complesso, ha tanta polpa e freschezza da vendere. Un campione. Altro assaggio molto convincente, a sorpresa, la Malvasia 2018 Marche Bianco igt. Avete capito bene, quel vitigno spesso bistrattato dagli avventori e ancora peggio dai produttori. Una Malvasia quella di Moroder che sceglie di essere se stessa, sincera, aromatica, ma secca ed asciutta. Un vino particolare che può fare concorrenza ai più famosi aromatici dell'Alt'Italia e che suggerisce abbinamenti estrosi a tavola.


Liana Peruzzi (Monteroberto AN) - Una signora di una delicatezza e sensibilità uniche, Liana Peruzzi. Lo si capisce mentre ti parla, quasi sommessamente, di quel suo unico vino bio con le bollicine, prodotto in quantità confidenziali nel suo Eden a Monteroberto. Liana Peruzzi la Sacerdotessa del Verdicchio Metodo Classico. Zero dosaggio, espressione di grande purezza, nitido nel varietale, sottili sentori di lieviti, perlage fitto e cremoso, materia tesa e di grande finezza. Cristallino.

La Distesa (San Michele di Cupramontana AN) - Non è facile parlare dei vini di Corrado e Valeria, non è facile essere originali, usare parole nuove, non è per nulla facile rendersi conto dei limiti della lingua scritta e parlata. Vini emblematici, a modo loro vini eroici, vini-battistrada (questa sì potrebbe essere una definizione nuova, non elegantissima magari...). Il "Terre Silvate" 2018 Marche Bianco igt ha ritrovato ora la sua definizione, a qualche mese dall'imbottigliamento, a dimostrare il suo ottimo rapporto con il tempo. E' incisivo, salato, quasi salmastro, fresco, materico, nutriente sopra ogni altra cosa. E' il solito bicchiere goloso, dove ogni sorso chiama il successivo. Non stanca mai, non se ne ha mai abbastanza. Ed il Nur? Strepitoso orange marchigiano, per quanto mi riguarda un trionfo di maestria artigianale. Vino da sete e da tavola, ma non prima di averne contemplato per qualche secondo la luce propria.

Col Di Corte (Montecarotto AN) - Lacrima di Morro d'Alba rifermentata in bottiglia. Suvvia, non prendiamoci in giro, qualcuno doveva pur pensarci! Se è vero che il Lacrima fermo con una bella grigliata di maiale ci canta, non oso immaginare cosa può combinare questo meraviglioso "Becce" con salumi ed affettati nostrani. Ovvio che non vedo l'ora di scoprirlo. Vino hakuna matata, classico bouquet di viole e rose rosse tipico del vitigno, vinoso e gioviale, sgrassa la bocca con una spuma irriverente e soprattutto inebriante. Figata. Menzione rapidissima per il Verdicchio Riserva "Sant'Ansovino" che conferma un profilo di grande spessore e nobiltà.


- INTERMEZZO -
"i mini-lab"

Non bastassero i vini da assaggiare ai banchetti il festival propone i mini-lab, degustazioni flash a numero limitato di partecipanti dove fare quattro chiacchiere in compagnia su qualche bottiglia selezionata ad hoc più qualche chicca. Non so spiegare bene il perché ma i mini-lab mi ricordano quei momenti indimenticabili dell'infanzia, quando mamma ci chiamava a raccolta per fare merenda a metà pomeriggio. Non si beveva vino allora - ahimé - ma giuro che l'atmosfera è la stessa, spensierata e familiare. Tra gli ottimi vini proposti due in particolare hanno lasciato un segno indelebile nella memoria, entrambi Verdicchio: da Matelica il "Gegè" 2017 di Cavalieri, con quelle sorprendenti note eteree di idrocarburi, e da Jesi (per la precisione dalla vigna a San Paolo) la riserva "San Paolo" di Pievalta, vendemmia - udite udite - 2008, vino fenomenale, così mirabilmente evoluto nei sentori eppure ancora fresco e vivo da non crederci. 


Vigneti Vallorani (Colli del Tronto AP) - Finalmente un po' di piceno, che l'Indigeno è un filo lontano e non lo beve con la frequenza desiderata. Il piceno, terra vocata, storica e verace che ha ritrovato la via e sta rapidamente risalendo la china, benedetto da piogge di premi e dal riscontro del pubblico. Sempre bello assaggiare accompagnati da Rocco Vallorani, vignaiolo giovane, schietto, dinamico e di si...cosa? non si può dire? vabbè, è un grande piacere chiacchierare con Rocco per questo Indigeno. Non è banale fare dei rossi come i suoi in un territorio dove la struttura del vino può facilmente sfuggire di mano: quindi grande merito per l'utilizzo di tecniche rispettose ma moderne e per la scelta di puntare sul Sangiovese, che fa da gregario al Montepulciano ed aiuta ad "affilarlo". Mi riferisco ad esempio al "Polisia " 2015 Rosso Piceno Superiore, una delle bevute in assoluto più convincenti del festival, anzi, dell'anno: solo acciaio, bel naso floreale, grande scorrevolezza e sapidità senza rinunciare ad una certa struttura tipica del territorio. Ma se il Sangiovese è eroe non celebrato nel Rosso Piceno, diventa protagonista in purezza nel "Sorlivio" 2012, vino muscoloso ed elegantissimo, di grande complessità, prodotto solo nelle annate meritevoli da una vecchia vigna. Lo dico? Lo dico: Brunello marchigiano. In questa edizione ho voluto concentrare la mia attenzione sul Falerio, denominazione caduta un po' nel dimenticatoio, ma che come poche altre riesce ad essere espressione del territorio. Ho trovato quello che cercavo da Rocco, con l'"Avora" 2018 Falerio dop, da uve Passerina, Trebbiano e Pecorino, profumato ed estremamente gastronomico, davvero gustoso.


La Valle del Sole (Offida AP) - Lo ricordo come se fosse ieri: la scorsa edizione di tM ebbi da ridire per la volontà di saltare l'assaggio della loro Passerina. Indigeno tapino, mediocre, sei fortunato ti si concedano seconde possibilità: questa Passerina 2018 è un'epifania! Naso molto delicato come da copione, ma sorso stupefacente, volumetrico, esplosivo, persistente, senza tradire la vocazione spensierata di questo tipo di vino, esaltata da una beva rinfrescante, fresca e sapida. Sappiate che ne ho presa al volo una bottiglia, unendo l'utile (la redenzione, ndr) al dilettevole. Per poi distruggerla al suolo qualche minuto dopo - è vero - ma questa è un'altra storia... Da queste parti si produce anche un Offida rosso docg, vino che apprezzai parecchio l'anno scorso nella versione 2014 e che in questa 2015 conferma la grande piacevolezza (eh sì, il GE ne ha saputo cogliere in pieno la qualità), alla quale in questa annata più generosa aggiunge energia, nitidezza, profondità, ed un filo di ciccia nei posti giusti. Matura in cemento e botte grande, è di un rosso brillante che fa venire sete e forse è una delle interpretazioni di Montepulciano più originali che abbia bevuto: non sarà la nuova via di questo vitigno, ma una via nuova certamente. Gialli come er sole, rossi come er core. Alessia ha piglio audace e occhi da killer, i suoi vini un grande futuro.

Aurora (Offida AP) - Non ho documentazione fotografica degli assaggi da Aurora, e probabilmente un motivo ci sarà. Al contrario ho portato diverse bottiglie in cantina, ed un  motivo, neanche a dirlo, ci sarà. Vini veri e sinceri che rendono onore a questo liquido dionisiaco. Parlavo prima di Falerio dop, e questo 2018 di Aurora ne rappresenta l'emblema: semplice ed appagante, fresco ma rotondo quando serve, sapido e gastronomico. E poi il "Barricadiero" 2016 Offida rosso docg, vera e propria istituzione del piceno e grande rosso italiano, che si presenta all'appuntamento in versione super: ne amo i tratti talvolta selvatici, rustici, la ricchezza e l'espressività, le premesse, le promesse.

Pantaleone (Ascoli Piceno AP) - Ogni anno vengo rapito da questo loro vino dal nome un po' cacofonico, che mi ricorda qualcosa di dinosauresco, e che altro non è che l'anagramma speculare di Pecorino, vitigno nel quale hanno evidentemente sempre creduto molto, al punto da non poterlo nascondere. Sto parlando ovviamente dell'"Onirocep" 2018 Falerio Pecorino doc, del quale quest'anno ho letto a destra e manca recensioni entusiaste che mi trovo obbligato a sottoscrivere: pulitissimo, al naso note di agrumi ed erbe aromatiche, salato, slanciato, verticale. Un vero vino "adriatico", un grande bianco marchigiano. L'assaggio si conclude con il Bordò "La Ribalta" 2015, che va a sapere se questo povero indigeno potrà mai permettersene una bottiglia, quindi vanno sfruttate le occasioni: frutto bello maturo, classica speziatura, ottimo equilibro fra l'importante struttura ed una freschezza comunque presente, sorso mooolto lungo. Considerando l'annata, forse un po' più piceno old style rispetto ad altre versioni ma resta un grande vino sul quale puntare ad occhi chiusi. Notare la progressione fotografica che denuncia i primi segni di affaticamento.

 

- CATEGORIA-
"vini in tinta con l'etichetta"

Categoria molto apprezzata dall'Indigeno che, stante gli studi ingegneristici et architettonici, ha una celata perversione per RAL, pantoni ed abbinamenti cromatici. Ho già parlato sopra del buonissimo e rossissimo Offida rosso docg de La Valle del Sole, il cui colore sprizza gioventù da tutti i pori. Passiamo al giallo ocra dai riflessi dorati de "La quinta femmina" 2018, ultimo arrivato di casa Cavalieri: Trebbiano macerato affinato in botte grande, il cui colore velato sembra anticipare quella che sarà la consistenza della materia al sorso, fatta di un'invitante presa tannica, di sale, di note acerbe e di morbidezze. Buono, buonissimo, ma giravano delle vecchie annate di Gegè in degustazione ed io non sono stato avvertito (e non me ne sono accorto): qualcuno dovrà pagare per questo smacco, la giustizia farà il suo corso. Ultimo ma non ultimo il nuovo Metodo Classico di Antonio Failoni, che quell'etichetta lì pare sia stata immersa nel vino e ne abbia assorbito i pigmenti. Aspettavo questo vino da tanto, da quando rubai di nascosto ad Antonio la notizia di un metodo classico in lavorazione. L'etichetta riporta qualche locuzione, che per il momento basta a darvi l'idea della figata di cui stiamo parlando: "vino spumante di qualità", "dosaggio zero", "Staffolo". Ah dimenticavo: "Failoni". Scusate se è poco. A breve ne riparleremo , promesso.


- CATEGORIA-
"Marche international"

Terra Argillosa (Offida AP) - Da quando il simpaticissimo Dwight Stanford ha fatto ritorno alla terra natìa è Raffaele Paolini a mandare avanti la baracca, egregiamente aggiungerei. Sempre interessante confrontarsi con lui. I vini si sa hanno un loro momento, e credo che questo momento fosse tutto del bordolese offidano "Confusion" Marche rosso igt, assemblaggio di Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc e Petit Verdot: colore cupo, profumi di frutta scura e matura, di tabacco, profondo, muscoloso, complesso. Coesione al limite della perfezione.

Selvagrossa (Pesaro PU) - La new entry 2019 di Terroir Marche, nonché l'azienda più settentrionale del consorzio: non vorrei dirlo, ma ci voleva un po' di accento pesarese a controbilanciare. Che dire, il "Poveriano" Marche rosso igt, Cabernet Franc in purezza da manuale, è un amore che non conosce flessioni, tanto è raffinato, sofisticato, chic. Per non farsi mancare nulla pure un bel Vermouth dedicato a Gioacchino Rossini, il "Giò", da uve Sangiovese e Trebbiano, un tonico digestivo dalle gustose note amaricanti.

Fiorano (Cossignano AP) - Qui non si parla più di internazionali in purezza ma di un matrimonio con il vitigno principe del territorio. Il "Gallo Otto" Marche rosso igt è infatti un 50% Montepulciano e 50% Syrah, con parte delle uve lasciate in appassimento per 30-40 giorni, vinificato e affinato in anfore di terracotta da 500 litri. Insomma, le premesse per un vino dalla personalità estroversa già ci sono tutte! Colore intenso, come intensi sono i profumi di frutta rossa matura, di amarena, i richiami speziati, il pepe. Vino di grande struttura, dal sorso suadente e dai tannini fini. Una coccola. Sapevate che questo vino vede la partecipazione di Elio (sì, proprio quello delle storie tese)? Sapevatelo!

Con amarezza ammetto di aver dovuto saltare - per ragioni di tempo e di fegato - ben tre produttori (Pievalta, La Marca di San Michele, Malacari), ma con qualcuno già mi sono rifatto e con gli altri mi rifarò a breve. Non si molla un c***o!


Degna conclusione della giornata l'incontro con il poeta Franco Arminio dal titolo "Abitare la terra, vivere i paesi".


Ho visto tante facce belle, tanti sorrisi, abbracci, collaborazione e interesse. Ho visto un gruppo aperto e tollerante, composto di storie ora simili ora molto diverse ma legate da un intento comune e nobile. Non ho visto tante persone che mi sarebbe piaciuto vedere ad assaggiare, ad ascoltare, a partecipare. Non ho visto tanti produttori che potrebbero e dovrebbero unirsi. Un progetto unico, TerroirMarche, che può crescere ancora molto ma che già "sta inesorabilmente cambiando il volto del vino marchigiano". Una frase questa da ripetere come un mantra.
Viva TerroirMarche!

Commenti



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