#indigenogoesto San Gimignano - Il Palagione

Ci ho messo una vita a buttar giù questo pezzo. Come al solito, direte voi. Ed avete ragione, ma la verità è che la visita a Il Palagione di Giorgio Comotti e Monica Rota è stata una grossa lezione di vita e di vino: tanta tanta carne al fuoco, una gran mole di informazioni difficile da riordinare e rielaborare, ed un insegnamento da digerire, nella speranza di poterlo mettere in pratica prima o poi.
Era metà ottobre ed io e l'amata indigena ci stavamo avventurando in un improbabile viaggio che dalle Marche, complice una lombalgia acuta di cui non vi sto a raccontare, ci avrebbe portato nelle splendide monumentali zone termali della bassa Toscana passando per Lucca, per motivi che sicuramente non vi interesseranno, ed ognuno a bordo della propria automobile. Ora, per ulteriori superflui motivi posso garantirvi che la vardascia si sentiva non poco in debito nei confronti di questo Indigeno, per cui fu agevole persuaderla che la strada più breve per andare da Lucca a Saturnia passa necessariamente per Castel San Gimignano, e più precisamente per Il Palagione. 

Nonostante avesse un impegno e malgrado fossimo in ritardo di una buona mezz'ora rispetto agli accordi, Giorgio fece di tutto per esserci, per accogliere questi due giovani sconosciuti, e strampalati per giunta. Ricordo bene l'incontro, stretta di mano guardinga e poi - clandestino - fa: "come siete arrivati a me?". E dire che noi non ci si sentiva due severi inquisitori: "ho letto bene della sua Vernaccia, e sono qui per assaggiarla".

IL PALAGIONE

Il fu Palagione era un antico podere risalente addirittura al 1594, collocato su un poggio lungo la via che da San Gimignano porta a Volterra. Una storia di mezzadria simile a tante altre.
Oggi, invece, Il Palagione è il personalissimo sogno di Giorgio Comotti e della moglie Monica che, da imprenditori di successo a Milano, desideravano "tornare alla terra", reinventarsi vivendo a stretto contatto con la natura, affrontandone i dolori e godendo delle gioie uniche che questa sa regalare. E possibilmente in Toscana. Così in soli 6 anni dall'acquisto del podere nel 1995 riescono, nell'ordine, a ristrutturare l'antico casale, reimpiantare i vigneti ormai abbandonati e, nel 2001, costruire una moderna cantina di vinificazione con tanto di bottaia sotterranea. Poi nel 2014 l'azienda acquista nuovi vigneti in località Montagnana, portando la superficie vitata a 17 ha, condotti tutti in regime biologico. Un'impresa che ha dell'incredibile se si pensa che Giorgio nel frattempo continuava a portare avanti la sua attività, facendo la spola tra Milano ed il Palagione ogni singolo fine settimana per quasi un ventennio: "ricordo di aver saltato forse un solo weekend". Volere è potere.

Dicevamo che l'azienda possiede vigne dislocate in due zone: quelle del Palagione (250-350 m s.l.m.) si estendono tutt'intorno al casale, mentre le altre in località Montagnana, in prossimità delle mura di San Gimignano (150-250 m s.l.m.), con esposizione prevalente a sud-ovest. I vigneti presentano composizione dei suoli simili, ma con differenti proporzioni fra sabbia ed argille leggere: l'approfondito studio dei terreni ha portato, nel corso degli anni, alla realizzazione di una vera e propria zonazione aziendale, permettendo di poter piantare nei diversi appezzamenti il vitigno che meglio si adattava a quello specifico micro-terroir, al fine di esaltarne le caratteristiche.

I VINI

Il Palagione - dice Giorgio - è "voglia di sole, di primavera, è voglia di mangiare all'aperto"; una concezione che si riflette necessariamente nella sua idea di vino, sintetizzabile in tre precetti fondamentali che tiene a ripetere come un mantra ad ogni assaggio:
1. pulizia del naso
2. freschezza (intesa come sensazione di benessere)
3. eleganza (da anteporre alla potenza)
Spoiler Alert! 
Vi garantisco che i tre comandamenti vengono rispettati alla lettera, parlano i bicchieri.

Le bottiglie portano i nomi di stelle e costellazioni care a Giorgio, grande appassionato di astronomia.
Dei 9 vini prodotti l'Indigeno era stato attirato da uno in particolare, ovvero la Vernaccia di San Gimignano docg "Lyra", unica selezione da singola vigna (Montagnana) ma anche - neanche a dirlo - unico vino terminato e quindi non in degustazione. Ma non tutto il male viene per nuocere: se fosse stato presente probabilmente mi sarei fermato alle Vernacce senza avere l'occasione di provare dei rossi sangimignanesi decisamente appaganti, e senza capire appieno gli intenti del vignaiolo.

Di seguito gli assaggi:

"HYDRA" 2018 Vernaccia di San Gimignano docg
Prodotto con le uve provenienti dai vigneti di Montagnana e Palagione. Solo acciaio, 6 mesi sui lieviti, poi 2 mesi di bottiglia. Giorgio dice che lei, Hydra, è il vino che paga le bollette, il classico vino d'ingresso ma anche il biglietto da visita dell'azienda. Il nome stesso della bottiglia dà l'idea di quella freschezza che poi si ritrova nel bicchiere, che unita ai profumi giovani floreali e fruttati e ad una gustosa sapidità regala una gran piacevolezza di beva.

"ORI" 2017 Vernaccia di San Gimignano docg Riserva
Orione è una delle costellazioni più conosciute e brillanti del nostro cielo e dà il nome alla Riserva, vino con il quale indagare le potenzialità della Vernaccia di San Gimignano. Anche qui le uve provengono sia da Montagnana che da Palagione e dopo una macerazione a freddo di 48 ore fermenta per un 70% in barrique con malolattica svolta sui lieviti e per il restante 30% in acciaio. L'affinamento sulle fecce fini si protrae per minimo 9 mesi, poi qualche mese di bottiglia. Da un'annata di certo non indimenticabile viene fuori comunque un ottimo vino, complesso e rotondo, giocato su note "gialle" di frutta e camomilla, finemente speziato. Manca fisiologicamente di acidità ma ha sprint minerale ed ottima persistenza.

"SUNROSE'" 2018 San Gimignano Rosato doc
Rosato ottenuto prevalentemente da uve Sangiovese, vinificato non per salasso ma per pressione, con massimo 3 ore di permanenza sulle bucce. Di un bel rosa tenue invitante, fragrante, molto fresco e vivace in bocca. L'Indigena apprezza, tanto che se ne porterà via una bottiglia (evento raro e prezioso). Vino da aperitivo estivo in veranda, vino della convivialità. Com'è che chiamano le bottiglie così? Ah, sì, pool-wine.

Hydra, Ori e Sunrosè
"TREVITE" 2018 Rosso Toscana igt
Vino dedicato dal nonno Giorgio alla terza generazione della famiglia. Solo Sangiovese, solo acciaio, breve macerazione, breve affinamento. Un vino rosso gioviale, da pasti semplici, magari da bere con qualche grado in meno del solito. Profuma di fiori, di frutta fresca, di uva, ha tannini sfumati e grande scorrevolezza.

"CAELUM" 2017 Chianti Colli Senesi docg
Sempre Sangiovese in purezza dai vigneti di Montagnana e Palagione, media estrazione, ha fatto 9 mesi in botti di rovere, per metà francese e per l'altra metà di Slavonia. Si pone a metà strada fra il Trevite e la riserva: diciamo che nel fornitissimo armamentario di Giorgio il Caelum è la pistola, maneggevole ed affidabile. Un Chianti versatile, straripante di frutti rossi e finemente speziato, robusto ma di bella beva. Un invito a cena.

"DRACO" 2016 Chianti Colli Senesi Riserva docg
Il Sangiovese in tutta la sua prestanza, uno Stallone (parola di Giorgio). Vinificazione in acciaio e barrique, lunga macerazione, affinamento in grandi botti da 15 a 25 hl. Rubino intenso ma brillante, leggermente più carico rispetto al fratello minore, naso articolato, con le classiche viola e ciliegia, ma anche terziari di sottobosco e sbuffi mentolati. Il sorso mi entusiasma perché ne lascia intuire le potenzialità sul lungo periodo dai silenzi, dalla severità dei tannini, dal profilo ossuto, dalla freschezza. Bottiglia galvanizzante.

Trevite, Caelum, Draco

Colori a confronto: a sinistra il Caelum, a destra il Draco.

"ANTAJR" 2015 Rosso Toscana igt (70% Sangiovese, 15% Merlot, 15% Cabernet Sauvignon)
Il nome è una variazione di Altair, la stella più luminosa della costellazione dell'Aquila. In questo vino Giorgio si è concesso un po' di licenza poetica, non solo nel nome ma anche nell'assemblaggio di uve internazionali con il Sangiovese, alla ricerca delle potenzialità "rossiste" di un territorio da sempre legato a doppio filo alla Vernaccia. Le uve sono vinificate separatamente ed affinate in barrique per circa 24 mesi, e successivamente unite prima dell'imbottigliamento senza stabilizzazioni e filtrazioni. Qui la frutta è più matura e più scura, c'è il tocco vegetale, ed una sfumatura vanigliata. C'è ciccia, densità, avvolgenza, eleganza.

"ARES" San Gimignano Merlot doc
Giorgio lo definisce "vino da plaid", aggiungendo che se il Draco potrebbe essere una sfida a calcio balilla - beh - l'Ares è più una partita a scacchi. L'Indigena l'ha già eletto suo preferito da quando ha sentito la parola plaid. Merlot in purezza, 24 mesi in barrique. E' stato commercializzato solo dopo molti anni di prove e conferme, a dimostrazione che a San Gimignano realizzare dei grandi rossi è possibile. Si contraddistingue per la grande complessità degli aromi e per un sorso suadente, morbido e caldo, ma reso dinamico da una freschezza viva, balsamica. Not my cup of tea, ma un gran vino. L'Indigena sbuffa, già si era accomodata sul divano.

Antajr ed Ares

A fine degustazione Giorgio ci ha preso gusto e decide di portarci a vedere la cantina, al diavolo gli impegni! Io e la mia Indigena siamo degustatori singolari, insoliti, (probabilmente) improbabili, ma sempre intimamente coinvolti e per questo ci si fa voler bene.
Ancora una volta, nella cantina, c'è tutto Giorgio: una struttura organica e rispettosa dell'ambiente circostante, assolutamente pratica e razionale nel suo complesso, ma dotata di puntuali gesti d'artista, come il marchingegno per i bâtonnage di sua invenzione.




Sapevo poco o nulla della San Gimignano enoica, enologica, vitivinicola, chiamatela come volete. Quella a Il Palagione è stata una visita importante per il mio personale percorso di conoscenza di un territorio ancestralmente legato al vino ed in particolare alla Vernaccia: uva magna, come la chiama Giorgio, che da forestiero, con amore e fatica e quell'occhio sempre inesorabilmente rivolto al futuro, ha saputo cogliere l'identità di questi luoghi ricercandone l'espressione più pura attraverso varie interpretazioni, sempre condite di un tocco personale.
Porto via con me i sapori della Vernaccia (con l'idea di tornare per assaggiare Lyra), il colore cristallino dei rossi, le sfumature della campagna toscana e la risata contagiosa di Giorgio, così simile a quella del grande Dario Fo. Lo ammiro sinceramente Giorgio, la sua laboriosità e l'intraprendenza, la disciplina e la visione tridimensionale, lo zelo e la creatività poliedrica.

Vi confido che ho pensato lungamente a lui e a ciò che occorre per dare forma ai propri sogni, oziando in panciòlle nel tepore delle vasche termali. Poi mi è venuta fame, poi ho rimandato a data da destinarsi.

AGGIORNAMENTO 2020: Giorgio ha tirato fuori una nuova Vernaccia di cui non so molto, se non che ho molta curiosità di assaggiarla. Il nome? Lei.

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