Vigneti Vallorani: it's piceno, baby!

Colli del Tronto (AP),  28/08/2020 - Trattasi di estrema periferia marchigiana, verde e bellissima, autentica come pochi, eppure fisicamente lontana da qualsiasi indigeno che non vi abbia radici. Lontano dagli occhi, lontano dal c-ovid. Battuta infelice ed amaramente veritiera. Avevamo bisogno di una vacanza tranquilla, di un posto sereno, di una tregua, una bella dormita. 

E con la scusa in tasca, non ce la infili una visitina a Rocco Vallorani? Era da tempo che si parlava di vedersi in cantina, da tanto tempo che ci si vedeva costretti a rimandare. E forse serviva proprio l'energia propulsiva di una nuova nascita a permetterci di oltrepassare ogni ostacolo. "Ciao Indigeno, è in arrivo il fratellino di Lefric, quando vieni ad assaggiarlo?". La sera stessa ero con l'Indigena ad incastrare le tessere di una meravigliosa vacanza picena mordi e fuggi.

Le strade strette che serpeggiano fra le colline - dove le case sparse assomigliano più a punti d'appoggio per il lavoro nei campi incessante e tenace che a vere e proprie dimore, come se sopravvivere, vivere ed abitare fossero legati in un rapporto sproporzionato, retaggio di tempi forse poi non così lontani - si aprono talora in grandi aperture visuali, paesaggi fatti di vigne e ulivi e curve dolci e più in là di massicci calcarei e catene appenniniche e mare Adriatico. Vere e proprie deflagrazioni panoramiche, spazi sconfinati, "interminati" per citare Giacomo Leopardi: nel contemplarne la meraviglia viene da chiedersi se tutto questo lo si ritroverà poi nel vino del luogo, viene da chiedersi come potrebbe essere altrimenti, si finisce per pretenderlo. 

Ci accoglie Rocco, che assieme al fratello Stefano è oggi l'anima di un apparato agricolo (aka la famiglia Fazzini-Vallorani) che veglia su queste terre dal lontano 1903. Generazione dopo generazione, uomini e donne testimoni di un territorio, arditi nel salvaguardarne le tradizioni, costanti nell'accompagnarlo nei cambiamenti. Ma delle origini e della storia dei Vallorani ne avevo in parte già parlato, e di certo non potrei essere più preciso della bio riportata nel sito aziendale, che vi invito caldamente a visitare.

Cerco qualcosa di più fondante, sono qui per capire, per vedere da vicino, per sentire i profumi e per cogliere i colori, calcolando col dito ciucciato le direzioni dei venti, l'energia radiante del Sole che sta qui sopra. Calpestare la terra che nutre le vigne, percepirne la consistenza. Tutte quelle cose di cui i mesi in casa ci avevano privato e delle quali ora più che mai si avverte l'importanza. Ciò che più di ogni altra cosa mi ha colpito passeggiando sul "pianeta Vallorani" è la presenza di vita tutt'intorno. Un ambiente brulicante - di vita, - dove coesistono animali di razze e specie diverse, cani e gatti, oche e tacchini, polli e uccellini, tutta la flora possibile, organizzata o endemica che sia, leggi anche biodiversità, fino alle fermentazioni spontanee in cantina. Infine mettici gli uomini con le loro peculiarità: l'orto sinergico di Stefano, sperimentale, a spirale, e un filare tradizionale di pomodori messi giù dal babbo, che non si sa mai. E Rocco, che gioisce della filiera chiusa e di un'ecosostenibilità aziendale quasi perfetta e che il vino lo fa da enologo e dentro ci mette praticamente niente se non tutto quello che ha: lo studio, le esperienze, tanto amore.


Facciamo un giro a vedere le vigne intorno all'abitazione/cantina, iniziando da quella di Sangiovese e Montepulciano di circa 10 anni di età, dalla quale si gode di una di quelle aperture visuali di cui parlavo sopra, che va dai Sibillini ai Monti della Laga fino ai corni del massiccio del Gran Sasso, roba da togliere il fiato. Torniamo indietro sfilando accanto all'orto sinergico ed alle giovani barbatelle impiantate quest'anno, in direzione del vigneto storico di 60 anni: a sinistra il Sangiovese, a destra il Montepulciano. It's piceno baby. Tra me e me fischietto il Morgenstimmung di Edvard Grieg, composizione che rappresenta il sorgere del sole e - lo so - siamo di sera, quasi al tramonto, ma io lego quelle armonie all'immersione in una natura vigorosa ed incontaminata, proprio com'è questa vigna, tutta spettinata, rigogliosa, fertile, lussureggiante. Come se fosse non antropizzata, per certi versi, che è diverso da abbandonata: l'erba che a poco a poco sottrae alla vista le ultime tracce del passaggio di un trattore, il noce che fa la sua vita ed aiuta la vita sotto di lui, le piante in fiore, e le viti addobbate di bellissimi grappoli blu che qua e là si toccano curiose. Mi viene in mente un'altra canzone, di Guccini questa volta, che non cito perché è dannatamente attuale e qualcuno - fraintendendo - potrebbe sentirla inquitante. 


Tutto questo otium ci ha messo una gran sete, chi l'avrebbe detto? Ci dirigiamo quindi verso la saletta di degustazione, non prima di dare un'occhiata in cantina, dove si intrecciano storie, aneddoti e visioni.
Conosco bene i vini di Rocco eppure non vedo l'ora di riprovarli.

"Avora" 2017 Falerio dop
Al di là della denominazione (storica, eppure molto bistrattata) questo sì che è un vino di territorio nell'accezione totale del termine. Ed i Vallorani non ci pensano nemmeno per sogno di rinnegarla. Passerina, Trebbiano e Pecorino provenienti da vigneti dai 40 ai 60 anni di età, fermentazione spontanea e lieve macerazione. Le vigne rivolte a nord/nord-est, al riparo dal sole cocente ed esposte alla bora (da cui il nome Avora), fanno sì che il vino riesca a mantenersi fresco anche nelle annate più calde. Ed è proprio per questo che Rocco mi propone l'annata 2017, coperta: "quanti anni ha questo?". Il naso, per un riflesso pavloviano, va subito in cerca di note evolute che non si fanno attendere, palesandosi addirittura in evocazioni idrocarburiche. Eppure il sorso rimane sorprendentemente fresco, molto sapido, di bella consistenza grazie al lungo affinamento sur lies, come si confà ad un vino che adora la tavola.

"Octavum" 2019 Marche rosato igt
Rosato tosto, secco, bello fresco ma di giusto corpo. Sangiovese e Montepulciano (75%-25%) lasciati sulle bucce per 24 ore, dall'ammaliante color buccia di cipolla. Al naso parte leggermente ridotto, poi vengono fuori violetta e ciliegia, prima di una vera e propria deflagrazione minerale. E c'è qualcuno che va dicendo in giro che non esiste...


"Lefric" 2018 Marche bianco igp
Trebbiano e Malvasia macerati sulle bucce per 10 giorni in anfore di terracotta, rimane sulle fecce fini sino all'estate successiva.
Bellissima interpretazione del vino di nonno Livio, il quale era costretto giocoforza a fare di necessità virtù per limiti di spazio e di tempo, dovendo dividersi in vendemmia fra vigna, trattore e cantina, in un superbo mix di sapienza contadina e pragmatismo. Rocco e Stefano, partendo dalla tecnica ereditata dal nonno, hanno perfezionato il procedimento secondo la propria visione: Lefric ha carattere da vendere, risulta complesso sin da giovane, al naso riconosco scorza di limone candita ed erbe aromatiche, è fresco e saporito. Vino impudente solo all'apparenza. A qualcuno piace parlare di garbo in fatto di lavorazione della materia prima, e credo davvero che qui - di garbo - ce ne sia a palate. E mi garba.

"Lefric" 2019 Marche rosso igp
Eccoci qua ad assaggiare finalmente il nuovo nato di casa Vallorani. Sono qui per lui ma non c'è poi molto da dire: il Lefric rosso è una meritata licenza poetica per questi ragazzi che tanto hanno fatto e stanno facendo per il vino piceno. E questa è certamente una bottiglia che mancava nella gamma di vini offerti da questa terra, un rosso contemporaneo, un rosso che va alla grande pure con il pesce, da esportare per mostrare le possibilità offerte dal territorio. Per il 50% Sangiovese, di cui metà in macerazione carbonica a grappolo intero, 30% di Montepulciano ed un 20% Syrah, quasi per gioco. Davvero buonissimo questo Lefric vestito di rosso, morgoneggiante, vinoso, profumato, impreziosito da una leggiadria e da una semplicità esibite con nonscialanza. 


"Polisia" 2016 Rosso Piceno superiore doc
Blend di Sangiovese e Montepulciano (70%-30%) affinato per lungo tempo sulle fecce fini in solo acciaio. Il colore? No, non ho foto da mostrarvi. E no, non è un caso: grande beva, grandissima piacevolezza. Fa caldo e non fa differenza. Intensità, freschezza, struttura e sale perfettamente bilanciati, per un sorso di grande coerenza. Questa 2016, in particolare, è una bomba!

"Koné" 2016 Rosso Piceno superiore doc
Qui, rispetto al fratellino Polisia, è il Montepulciano a prevalere sul Sangiovese (60%-40%), e si sente per la marasca in primo piano, per quei toni scuri e selvatici tipici del vitigno, per la potenza a tratti veemente. I 18 mesi in piccoli tini di rovere francese di cui 1/3 di primo passaggio poi lo assecondano nell'esprimere quelle note di cuoio, caffè e liquirizia che contribuiscono a "scaldarlo". I tannini sono ancora ruvidi ma di qualità, nessun problema: il ragazzo si farà, ha una lunga vita avanti a sè.

"Sorlivio" 2015 Marche rosso igt
Sangiovese in purezza proveniente dalle vigne vecchie, affina per 22 mesi in barriques nuove ed altrettanto tempo in bottiglia. Viene prodotto solamente nelle annate davvero meritevoli. Sangiovese che in queste umili Marche sempre un po' travolte dal corso degli eventi e sempre tanto ostinate da rischiare di impuntarsi viene usato come un bazooka, quando potrebbe essere un precisissimo fucile da sniper. Il Sorlivio è proprio questo: un vino accurato, cesellato, balsamico ed elegante, dal tannino finissimo. Lo dico da tempo, siamo probabilmente di fronte al più mirabile Sangiovese marchigiano. Ed il Sor Livio ne sarebbe stato orgoglioso.


Rocco Vallorani ci piace tanto perché ha idee, animate da ideali; perché ha ideali, sostenuti da idee. Perché traspare dalle sue parole, limpida, cognizione di causa. Per quella cadenza lì e perché è capace di salvare un cane in autostrada. Perché ispira una fiducia priva di tentennamenti. 
Anche perché fa il vino buono, ovviamente. E' proprio vero che il vino, nel migliore dei casi, assomiglia a chi lo fa.

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